Il difficile mestiere di genitore, diventa ancor più difficile quando a crescere il figlio è uno solo, la madre.
La crescita e l’educazione di un figlio è una cosa complessa e delicata. Fare il genitore non è un mestiere facile, tanto più quando la gestione della crescita di uno o più figli è demandata, per un motivo o per un altro, ad uno solo dei coniugi.
È sempre difficile rapportarsi ad un figlio, soprattutto se questo si trova nella fase adolescenziale con tutte le insicurezze che tale momento della vita comporta. In misura ancor maggiore se un ragazzo pensa e pretende di fare tutto ciò che vuole, non rispettando le regole, tornando tardi la sera, dedicandosi solo agli amici ed ai suoi interessi.
L’assenza di una figura paterna rappresenta spesso un gap che difficilmente verrà colmato. Tra l’altro non è facile neppure per un figlio che deve crescere come maschio avere come punto di riferimento unicamente una donna. L’assenza del padre, dovuta spesso il divorzio o alla morte di questo, non facilita il rapporto tra madre e figlio, anzi lo complica facendo nascere in entrambi sentimenti di solitudine, rabbia, preoccupazione e frustrazioni.
La madre che cresce il figlio da sola si pone le stesse domande che si fanno tutti genitori: sarò capace? Farò tutto bene? Devo essere severa o accondiscendente? Tutte domande a cui una coppia genitoriale cerca di rispondere sostenendosi a vicenda. Nel caso però di una donna sola, certe tensioni e contrasti, che inevitabilmente nascono dalla relazione, spesso non trovano soluzioni per l’assenza di un mediatore, colui con il quale si è pensato di mettere su una famiglia e di crescere i figli. Risulta pertanto difficile prendere delle decisioni senza un interlocutore che ci aiuti e ci supporti nei momenti di crisi.
Ognuno di noi da solo vale il 100%, ma quando conosciamo un’altra persona e decidiamo di progettare la vita insieme doniamo una parte di noi alla relazione di coppia. Investiamo così la metà della nostra individualità che, insieme alla medesima parte dell’altra persona, andrà a costituire la totalità della coppia. In questo modo ognuno di noi mantiene le caratteristiche di una propria individualità, creando un’entità, la coppia, che “lavorerà” per la crescita di entrambi in un progetto di vita comune. Con l’arrivo dei figli la coppia “dona” il 50% della sua identità alla crescita dei stessi. Così da creare una genitorialità insieme all’apporto dei figli genererà il 100% dell’ “entità famiglia”.
In questa “equazione”, tutti – individuo, coppia, genitori, figli – manterranno una parte più che sufficiente per non snaturarsi e condivideranno una parte altrettanto sufficiente per mantenere alto il profilo della coppia e della famiglia.
L’assenza dell’altro o l’investimento da parte di uno dei membri di una percentuale maggiore non farà altro che minare tutto l’apparato rendendolo instabile. È in quest’ottica che un genitore solo deve gestire il difficile equilibrio tra attaccamento e distacco, cercando di favorire la crescita del figlio che si allontanerà, magari facendola sentire ancora più sola ed inadeguata.
Il limite tra madre e figlio maschio adolescente non è legato semplicemente alla virilità sessuale, ma nasce dalla necessità di confrontarsi con un genitore dello stesso sesso, per apprendere da lui le modalità comportamentali che caratterizzano un uomo. Tutti confronti ed esempi necessari per un figlio che ha bisogno di crescere nella sua identità di maschio, identificandosi con il padre in alcuni aspetti e prendendo le distanze da lui per altre caratteristiche.
Ogni cosa però diventa complicata quando il ragazzo deve “sbrigarsela da solo” attraverso l’osservazione limitata degli uomini che lo circondano: parenti, educatori, amici, che per loro natura non avranno le attenzioni necessarie come quelle che ha un padre con il figlio.
Attenzione: qui non si vuole assolutamente stigmatizzare le modalità di crescita e di relazione tra madre e figlio, ma è innegabile che esistono, per un ragazzo adolescente, delle necessità relazionali che solo un padre può soddisfare. Le stesse dinamiche si riproporrebbero infatti anche a parti invertite: nel caso che una figlia donna dovesse, per motivi di diversa natura, trovarsi a vivere unicamente col padre, sarebbero inevitabili dei gap relazionali e legati alla crescita che solo una madre potrebbe colmare.
Ritornando al discorso di cui sopra, può capitare che un ragazzo si abitui a fare sempre da solo e di testa sua, mettendo a dura prova il rapporto con la madre, perché anche lui si sente un po’ solo. La stessa madre, pur di mantenere un fantomatico equilibrio, accetterebbe la sfida, nella consapevolezza però che a quel figlio manca qualcosa a cui lei dovrà in un modo o nell’altro sopperire. Ciò non va fatto in solitudine, ma è necessario cercare alleati esterni nel lavoro educativo, attraverso il confronto con le figure maschili che il figlio reputa importanti e funzionali alla crescita. Dall’altro lato è importante che la madre impari a relazionarsi con il figlio adolescente, facendo in modo che non sia il pensiero fisso delle sue giornate, coltivando interessi, relazioni ed impegnandosi in attività che la facciano sentire completa e non solo madre.
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta