Gli interventi governativi non si riducono al disegno di legge sulla c.d. buona scuola.
Per avere un’idea della direzione che ha preso la politica scolastica in Italia si devono considerare le gravi misure della legge di stabilità, il blocco dei contratti collettivi nazionali e l’emarginazione stessa dei soggetti sindacali, le scuole a pezzi usate invece per obbiettivi di propaganda elettorale, la sottrazione di risorse finanziarie all’istruzione. Ormai sistematicamente, le leggi e l’amministrazione del MIUR trasferiscono direttamente alle scuole migliaia di oneri formali di ogni tipo e adempimenti amministrativi con il ricco corredo di sanzioni penali, civili, amministrative, contabili, disciplinari e con l’inevitabile conseguenza che il personale scolastico viene schiacciato da carichi di lavoro insostenibili e responsabilità sempre nuove. Si avviano interventi scientificamente quanto meno discutibili sulla c.d. valutazione e misure ispirate (o scritte?) da centri di potere economico o legato a movimenti reazionari contrari ai valori dell’unità della Repubblica. Ai dirigenti scolastici sono assegnati compiti implausibili. Si prevedono scarse risorse definite quale premio di merito per pochi insegnanti.
Le scuole stanno ancora facendo i conti con limiti e approssimazioni recate dall’introduzione del metodo CLIL, del registro elettronico, del Sistema nazionale della “valutazione”, degli appalti intestati ai dirigenti scolastici per esternalizzare servizi di pulizia et similia: l’elenco potrebbe continuare all’infinito. Ora si profila l’alternanza scuola – lavoro nei licei fin dal prossimo settembre (ddl art. 4, comma 1).
Questi “redattori di norme” ignorano forse le difficoltà di chi ogni giorno, davanti a decine di ragazzi o di bambini è impegnato a favorirne la crescita, a guadagnare la loro attenzione, a motivarli alla cultura, allo studio, all’impegno, ai valori della solidarietà e alle competenze di cittadinanza, sempre meno diffusi nella società contemporanea? Ignorano il duro lavoro di progettazione didattica, ordinaria o speciale, e la verifica delle prove dei loro alunni, il compito serio di dialogare serenamente con le famiglie? Conoscono le statistiche del burn out degli operatori scolastici (in moltissime realtà vicine all’80%), le statistiche sulla diffusione delle patologie psichiatriche, la media delle loro retribuzioni percepite durante l’arco della carriera? Tutto ciò preoccupa i sedicenti riformatori che dichiarano di “promuovere l’innovazione scolastica”?
Si profila in Italia un sistema di burocrazia ministeriale che, “liberatosi” delle funzioni amministrative, assume il ruolo di interprete ed estensore delle linee di un disegno politico centralista e dispone regole, contenuti e sistemi di controllo per le ottomila scuole, le centinaia di migliaia di operatori scolastici, i milioni di giovani studenti che si troveranno di fronte un corpo professionale, sempre più mortificato e stanco, dal quale diventerà sempre più difficile ricevere entusiasmo, fiducia e competenze autentiche per costruire il loro futuro e quello dell’Italia.
In questo quadro i dirigenti scolastici sono ridotti al ruolo di esecutori collocati al termine del processo, gravati da ulteriori responsabilità, di cui verranno chiamati a dar conto, e privati della possibilità di un ruolo effettivo di direzione e di coesione della ricca comunità che ancora, pur fra mille e sempre nuove difficoltà, è la scuola in Italia.
E’ un ritorno a politiche che ricordano gli anni cinquanta del secolo scorso, prima che i sacrifici e le lotte di massa portassero alle grandi leggi di riforma, che hanno attuato i valori stabiliti in Costituzione per la scuola e per il mondo del lavoro.
E’ un grave ritorno al passato, un sostanziale arretramento di civiltà. Anche questo è il disegno di legge governativo, le sue tredici deleghe e la politica per l’istruzione. Non chiamatele riforme.
Augusto Gallo
Dirigente scolastico