Prima di passare ad una interessantissima pubblicazione a cura dell’ITIS Avogadro, propongo una breve intervista realizzata con l’ispettore capo della Polizia Postale di Biella, Andrea Andreotti, sul lavoro minuzioso fatto da questa sezione importante delle nostre forze dell’ordine che accenna a quali pericoli vanno incontro i ragazzi che si affacciano alla rete.
L’uso delle nuove tecnologie, da parte di ragazzi e adolescenti, pone gli adulti davanti ad un grande interrogativo e ad un’assunzione di responsabilità, questi strumenti infatti rappresentano un’enorme risorsa, ma anche un grande rischio. Come trovare un punto di equilibrio dal punto di vista pedagogico? Quale ruolo e responsabilità per l’adulto?
La dipendenza da Internet, conosciuta nella letteratura psichiatrica con il nome originale inglese di Internet Addiction Disorder (IAD), è un disturbo nel controllo degli impulsi che non implica l’assunzione di una sostanza. Ne abbiamo parlato con la dott.ssa Serena Valorzi, psicologa e psicoterapeuta, esperta in prevenzione, formazione e trattamento delle New Addictions.
I ragazzi di oggi sono consapevoli e conoscono i rischi della rete?
Si stanno delineando due panorami differenti: c’è una forte discrepanza tra i ragazzi che hanno genitori, nonni, fratelli maggiori ed insegnanti disponibili ad avvicinarsi con loro a questi nuovi mezzi, e quelli che passano molto tempo da soli e non hanno molte occasioni di contatto, oppure hanno dei genitori a cui riesce difficile parlare del mondo tecnologico perché si sentono inadeguati o incompetenti. I primi sono molto più informati e consapevoli, ad esempio sanno che non possono avere il profilo Facebook finché non hanno compiuto 13 anni o che è eticamente ed emotivamente corretto, prima di postare una foto o un filmato, chiedere il permesso alle altre persone che vi siano ritratte. Per gli altri, non accompagnati da persone più grandi (adulti o fratelli maggiori) nell’acquisizione di senso critico e responsabilità, la rete assume i tratti di una cybergiungla costellata di trappole.
Conosciamo le potenzialità e i pregi della rete come risorsa, ci sono dei rischi “civili” più noti ed evidenti (pedofilia, pornografia), ma si parla poco dei rischi psicologici per bambini e ragazzi che usano la rete.
I rischi sono a monte e riguardano la sfera dell’emotività. La capacità di riconoscere, esprimere e modulare le emozioni si impara fin da piccoli quando si sentono sensazioni, emozioni, alle quali è difficile dare un nome, o delle quali non si capisce l’utilità: con il tempo, con il confronto e il contatto con l’adulto si comprendono, si impara a discriminarle e ad esprimerle sia verbalmente che con il linguaggio del corpo. Si tratta di abilità prosociali che si sviluppano con il contatto diretto, e coloro che hanno meno contatti con le persone – che siano adulti o pari – hanno difficoltà ad acquisirle. Se un ragazzo ha dei buoni contatti “reali” la comunicazione in rete può certamente aiutarlo ad allargare o mantenere le sue relazioni. Ad esempio se abita lontano dagli amici, una volta rientrato a casa può rimanere in contatto con loro e questo lo aiuta a mantenere i suoi legami e a sviluppare un rapporto positivo. Diverso è quando un ragazzino sta da solo tutto il giorno, ha pochi amici veri, ma ha 800 contatti virtuali di persone che in realtà non conosce e con le quali la comunicazione diventa artificiosa e artificiale se non addirittura falsa. C’è, in questi casi, un impedimento allo sviluppo delle competenze che permettono di stare bene con le altre persone e bene con se stessi a livello emotivo e si incorre anche in un rischio più alto di sviluppare disturbi di ordine psicologico più gravi, come la dipendenza. Di fatto, chi già soffre di dipendenza da comportamento, ha avuto, sin dall’inizio, difficoltà nella gestione emotiva e nelle relazioni, originate da una mancanza di contatto diretto e/o da un eccesso di contatto virtuale.
Quali sono gli effetti di questo rischio? Come riconoscerne i segnali?
Un utilizzo selvaggio della rete e dei videogiochi porta anche a delle modifiche di ordine strutturale sul cervello (nei casi più gravi si sono riscontrate alterazioni della sostanza bianca in aree deputate all’emotività, l’impulsività e la pianificazione) e mette a repentaglio la possibilità di costruire un’identità coesa. È come se non si riuscisse più (nel caso di adulti), o non si fosse mai imparato (nel caso dei più giovani) a mettere insieme le diverse parti di sé. Il risultato di questi danni si esprime con la frammentazione del sé e del proprio vissuto cui si lega anche l’incapacità di immaginare se stessi nel futuro e pianificare i propri passi (anche per questo è sempre più difficile scegliere il proprio percorso scolastico, si tratti di scuole superiori o università). Circondato da interruzioni continue (a partire dalla pubblicità in tv, al cellulare che squilla ed spezza conversazioni e attività), il giovane che manca di relazioni reali è ancora più esposto a questi pericoli ed a farne le spese è la capacità di gestire ed esprimere la propria dimensione emotiva, tanto importante nel fondare solidamente relazioni adeguate e soddisfacenti.
C’è una netta distinzione tra chi ha delle buone abilità dal punto di vista di gestione emotiva e dal punto di vista pro sociale e noi adulti possiamo facilmente riconoscerla. Ad esempio, si può fare attenzione a quello che viene detto e come viene espresso con il corpo e con le intenzioni: se non c’è coerenza e si parla solo di fatti; l’emozione non è verbalizzata e non è espressa consapevolmente ed è quindi l’emotività a trascinare la persona anziché essere protagonista dell’espressione. In una situazione critica di abuso o dipendenza il soggetto rimane chiuso in questa comunicazione e non accetta un contatto di ordine diverso, tende ad evitare la relazione diretta (non partecipa alla cena, evita di guardare negli occhi) e si mostra indolente, indifferente rispetto alle diverse mete della sua età. Si tratta di un’assenza di motivazioni legata ad un’assoluta incapacità di pianificazione e di visione di sé nel futuro. E’ come essere imprigionati nel presente dove c’è “tutto subito”, tutto davanti e immediatamente fruibile e quindi si blocca la tensione alla crescita. E’ la morte del desiderio e dell’immaginazione.
Quali strumenti possono mettere in campo gli adulti per educare i figli ad un uso corretto e responsabile degli strumenti tecnologici?
La cosa più importante è condividere. Esplorare con loro scoperte e potenzialità della rete, “fare insieme” in modo tale che anche di fronte ad informazioni, immagini, filmati non adatti alla loro età, l’adulto possa fungere da filtro interpretativo caloroso e comprensivo delle curiosità. E’ utile fare attenzione – davanti a certe immagini poco appropriate per la loro età – a come reagiscono emotivamente e in quei contesti è opportuno chiedere loro come si sentono vedendo un’immagine, a cosa li fa pensare; senza tralasciare di raccontare anche cosa sentiamo noi. E’ compito dell’adulto educarli all’uso responsabile dello strumento tecnologico riconoscendo i momenti di condivisione quali ottime palestre per lo sviluppo delle capacità di gestione emotiva e quali luoghi in cui far crescere la relazione con i più piccoli, evitando il rischio di trovarsi a breve un piccolo alieno inafferrabile ed incomprensibile. Sapere a cosa serve ciò che hanno tra le mani e quali rischi e potenzialità comporta rappresenta il primo passo da compiere.
Qual è il ruolo del controllo in queste dinamiche? E’ utile esercitare l’autorità in questo caso? Possiamo definirla una strategia educativa vincente?
E’ sicuramente valida la regola rispetto all’utilizzo: è importante che i ragazzi imparino bene a fare una buona divisione tra le attività nella giornata. Spesso al ritorno a casa da scuola, pensano di rilassarsi con il computer. In realtà si tratta di un’attività che implica un’attivazione molto forte (anche se non tanto riconoscibile o esprimibile), che stanca e sfinisce. C’è un’iperstimolazione dal punto di vista cognitivo e manca il contenitore emotivo proprio e di un’altra persona, una cosa di cui è difficile accorgersi. Inoltre internet ha la caratteristica di dilatare i tempi e questo risulta tanto più pericoloso con un adolescente che ha spesso difficoltà ad organizzare le proprio giornate. Per questo l’uso del computer non va solo limitato ma va collocato temporalmente all’interno della giornata dopo altre attività. E’ importante dare delle regole sugli orari e i tempi di utilizzo ma è fondamentale soprattutto condividere, leggere assieme i messaggi ricevuti, parlarne e porre l’attenzione soprattutto su di noi come modello educativo. Naturalmente questo implica un impegno da parte nostra ad essere coerenti.
Itis Avogadro