attualità

Coordinamento ITP di Biella

Lettera sulla riforma.

Premessa.

Più volte è stato detto, da parte del Ministero, che questa riforma è stata fatta con gli insegnanti, le famiglie, gli studenti, chiedendo il loro contributo e il loro parere. Desideriamo smentire questa affermazione non veritiera e far notare come anche questa opportunità di esprimere la nostra opinione ci venga offerta solo ora, a cose fatte, il che dimostra come si tratti in realtà di una riforma imposta dall’alto, il cui scopo e le cui finalità ci risultano di assai difficile comprensione. Le riforme imposte dall’alto sono sempre finite male; a meno di radicali cambiamenti di rotta non possiamo che auspicare che anche questa non faccia eccezione, dato l’impatto disastroso che avrebbe sul sistema scolastico nazionale e sull’intero sistema Paese. Le proteste seguite ad ogni tentativo di attuazione della riforma hanno visto schierarsi unanimemente contro la stessa tanto gli operatori della scuola quanto gli utenti, cioè gli studenti e le loro famiglie. Ora tocca alla scuola secondaria. Vorremmo sgombrare il campo da un increscioso equivoco: del complesso della scuola italiana nessuno parla tanto male quanto il ministero dell’Istruzione. Il Paese reale invece, sembra pensarla diversamente, tanto è vero che alcuni mesi fa un sondaggio dava a circa il 70% la percentuali di cittadini italiani che dichiaravano di avere fiducia e apprezzamento nei riguardi dell’operato della scuola pubblica. Tale dato saliva all’80% tra gli studenti, ovvero i diretti interessati e migliori conoscitori del funzionamento del sistema. La nostra scuola primaria e secondaria inferiore è da anni additata come esempio a livello internazionale.

Alcuni problemi

Il fatto che il livello di preparazione dei nostri studenti possa risultare inferiore a quello degli studenti di altri paesi europei non deriva tanto e  necessariamente dalla struttura del nostro sistema scolastico, ma dall’uso improprio di mezzi, risorse umane e strutture che dovrebbero essere meglio utilizzate e potenziate, non smantellate. La realtà di cui bisogna prendere atto è che negli ultimi lustri il livello della preparazione degli studenti italiani ha subito un calo progressivo e inarrestabile in tutti gli ordini di scuola, dalla primaria all’università. La principale ragione di questo fenomeno sta nel fatto che la scuola si è vista costretta a ridurre le richieste nei confronti degli studenti: di qui l’abbassamento del livello generale della preparazione degli stessi. Se il nostro paese vuole evitare di imboccare la strada della recessione è assolutamente necessario invertire questa tendenza. La burocratizzazione dell’insegnamento, la progressiva riduzione del potere discrezionale dell’insegnante, il venir meno dello stesso prestigio personale dell’insegnante e della categoria nel suo complesso, oltretutto umiliata da retribuzioni che sono le più basse del mondo, i continui tagli dei finanziamenti al sistema scolastico sono state e sono ulteriori cause di decadimento. Non vediamo in questa riforma un’inversione di tendenza.

Nel merito della riforma

Non si comprende innanzitutto l’impianto stesso della riforma, basato su una divisione in due canali (sistema dei Licei e Formazione Professionale) che è quanto di più anacronistico e antistorico si potesse immaginare. L’idea che debba esistere una cultura “alta”, fornita dal sistema liceale e una forma elementare di istruzione (chiamata non a caso “formazione” ) è talmente antiquata e fuori luogo in un Paese industrializzato da far pensare che chi l’ha concepita abbia perso il treno della storia almeno qualche decennio fa. Un simile impianto scolastico poteva forse essere funzionale (non eccellente, appena funzionale) all’Italia dell’immediato dopoguerra, affamata di operai generici o specializzati in grado di mandare avanti industrie ancora poco meccanizzate e non ancora automatizzate, il cui funzionamento richiedeva enormi contributi in termini di lavoro manuale, mentre la classe dirigente veniva designata e selezionata tra coloro (pochissimi) che avevano potuto accedere ai gradi più elevati dell’istruzione. Era l’Italia degli anni ’50. Sono passati 50 anni e sarebbe ora che anche il Ministero se ne rendesse conto. Il nostro Paese non ha più bisogno di milioni di operai di bassa specializzazione, semplicemente perché all’industria quasi non servono più; pertanto anche la giustificazione, più volte addotta, che vorrebbe il nuovo sistema scolastico funzionale alle esigenze del sistema produttivo e del Paese non sta in piedi. Anche il livello di cultura, generale e tecnica, di artigiani, tecnici in genere e operatori dei servizi deve essere innalzato, vale a dire che quanto poteva fare un tempo l’istruzione o formazione professionale oggi non basta più e deve essere sostituito da un’Istruzione Tecnica vera e propria quale è quella fornita dagli Istituti Tecnici.

Licei e Istruzione Tecnica

Anche la ristrutturazione del sistema dei Licei, caratterizzati da un minor numero di ore e dall’esagerata presenza di materie di tipo classico e umanistico è quantomeno incomprensibile. I futuri quadri orari così come sono stati presentati metteranno il corpo docente nell’evidente impossibilità di fornire agli studenti un livello di preparazione più elevato di quello attuale, il che rappresenta la vera necessità primaria se vogliamo rimanere in Europa e nel mondo con lo stesso livello di competitività che ci ha consentito, in anni ormai passati, di diventare la quinta potenza economica del pianeta.

Ebbene non si comprende come si possa pensare di ottenere questo risultato riducendo ancora l’offerta formativa, con una scuola secondaria ridotta a quattro anni e “un pezzo” e con lo smembramento dell’Istruzione Tecnica. Quest’ultima poi, vera fucina dei quadri intermedi che sono l’ossatura portante del nostro sistema produttivo, andrebbe caso mai potenziata e incoraggiata con adeguati strumenti legislativi e finanziamenti. Si crede forse che tutti gli operatori che lavorano in campo tecnico nascano sotto i cavoli? E che bastino dei corsi di formazione professionale gestiti da chi bene non si sa e finanziati chissà come per creare figure professionali in grado di utilizzare i più moderni sistemi tecnologici? È invece necessario rafforzare il sistema degli Istituti Tecnici, che devono essere in grado di sfornare tecnici dotati sì di buona cultura generale, ma soprattutto di una cultura tecnica e specialistica che consenta loro un adeguato e dignitoso inserimento nel mondo del lavoro, non solo come apprendisti, ma essi stessi come portatori di nuove conoscenze e di innovazione. Se ben strutturati e adeguatamente finanziati gli Istituti Tecnici e gli stessi Professionali (com’erano concepiti fino a prima del disastroso “Progetto ‘92”) sono stati e saranno ancora in grado di svolgere questo ruolo, irrinunciabile per un Paese come l’Italia. La Cina, il Giappone, l’India, il Pakistan, per non parlare dei paesi dell’Est europeo, non impongono ai loro studenti lo studio del latino, ma sfornano tecnici preparatissimi e selezionati. Ridurre gli Istituti Tecnici  a quanto prefigurato dalle bozze relative al Liceo Tecnologico è una scelta miope e porterà conseguenze disastrose a un tessuto economico-produttivo basato notoriamente sulla piccola e media impresa. Abbiamo bisogno sì di laureati, ma preparati bene, e abbiamo bisogno anche di tecnici intermedi di alto livello, figure che possono uscire solo da Istituti Tecnici degni di questo nome, non da scuole in cui le discipline tecniche e scientifiche sono mortificate da un quadro orario che definire inadeguato è quantomeno generoso.

I laboratori

Chiunque abbia esperienza nel settore dell’insegnamento e della formazione sa bene che non esiste metodo migliore per imparare di quello che affianca allo studio teorico la sperimentazione e la verifica pratica delle proprie conoscenze. Questo concetto deve essere il punto di partenza se si vogliono concepire moderni ed efficaci sistemi di insegnamento. Una versione dal greco o dal latino non sono esse stesse dei “laboratori”, vale a dire l’occasione di verificare, approfondire e mettere alla prova, consolidandole, le proprie conoscenze? Se questo è vero per il latino come può non esserlo per le materie tecnico-scientifiche nelle quali ad esempio la verifica dei fenomeni fisici, chimici, o il funzionamento di strumenti, attrezzature e macchinari anche complessi è fondamentale per un efficace processo di apprendimento? Perché allora questa riforma riduce al lumicino quando non allo zero assoluto le ore curricolari nei laboratori? Sono, queste, le ore più produttive e contemporaneamente quelle che più coinvolgono e catalizzano l’interesse degli allievi. Non possiamo pertanto esimerci dal chiedere che si rimetta in discussione l’intera questione dei laboratori, dei quali nei futuri Licei tecnologici deve essere semmai previsto un deciso potenziamento.

In conclusione

  • Siamo del parere che la scuola secondaria italiana non necessiti di riforme così radicali.
  • Ci sembra un clamoroso autogol per il Paese lo smembramento dell’Istruzione Tecnica, che attualmente rappresenta oltre il 40% della Scuola Secondaria. In particolare è catastrofica la scelta di snaturare gli Istituti Tecnici con la paventata introduzione di materie che è giusto definire inutili quali il latino e la filosofia e la riduzione ai minimi termini delle materie tecniche e di indirizzo. Un Paese ad alto tasso di industrializzazione non può permettersi errori madornali come questo; se il Ministero non crede agli insegnanti lo chieda alla Confindustria, che in materia dovrebbe essere ottimo consulente.
  • Si parla tanto di tecnologia, spesso a vanvera; ebbene, nelle nostre scuole la Tecnologia bisogna farla studiare, molto e bene: lo si faccia.
  • La scuola italiana ha bisogno di finanziamenti: negli ultimi anni non si sono visti che tagli ai bilanci. Questa è una delle riforme che ci aspettiamo: nessuno tra i Paesi industrializzati dell’occidente spende così poco per l’istruzione e la ricerca. E i risultati si vedono: fughe di cervelli, industrie con problemi di innovazione dei prodotti, numero di brevetti ridicolo in confronto a quello dei nostri partner Europei e via di questo passo.
  • La scuola sia più “seria”: non escluda i meno fortunati per reddito e capacità, ma premi e coltivi l’eccellenza anzichè perseguire il livellamento verso il basso. Si restituisca prestigio e dignità alla funzione docente e si dia il giusto peso al rispetto delle regole e dei valori, dei diritti come dei doveri: sono gli studenti stessi a chiedercelo. Su questi ultimi due punti abbiamo sentito esprimere qualche buon proposito da alcuni esponenti del governo e da parlamentari della maggioranza che si occupano di scuola; attendiamo riscontri concreti.

Infine, qualora si volesse davvero avvalersi del contributo degli operatori della scuola, se ne potrebbero trovare moltissimi, preparati e volonterosi, in grado di fornire un contributo prezioso per migliorare il sistema scolastico. Tutto ciò nell’interesse di un Paese che ha un disperato bisogno di investimenti in cultura, innovazione, ricerca e istruzione se vuole sopravvivere in questi difficili tempi di globalizzazione e competizione internazionale sempre più agguerrita. Gli insegnanti, come sempre sono a disposizione.