Storia di una ITP precaria senza abilitazione
“Ciao, prendi servizio lunedì allora?”
Non posso credere alle mie orecchie, dopo settimane di attese angosciose finalmente il segretario mi chiama per l’agognata supplenza annuale. E’ il mio segretario preferito. E’ un uomo buono, un po’ timido che non accetta mai che gli si offra un caffè o un tè. Stà sempre lì seduto nel suo stanzino a lavorare. Non lo vedi molto spesso in giro. Anzi, devo dire che mi dimentico della sua presenza fino all’inizio dell’anno scolastico successivo o per le graduatorie. So che non è molto carino, ma è la verità. E’ sempre molto gentile, mi da del tu, ma mi chiama per cognome. Quest’anno l’ho disturbato tantissimo per tutte le procedure di inserimento in istanze on line e per avere informazioni in diretta sull’andamento della graduatorie. Lui però sempre disponibile, mai alterato.
“Certo!” rispondo io.
“Ah dimenticavo, vieni lunedì alle 8.00 in punto, ovviamente contratto fino ad avente diritto eh… ah ecco questa settimana niente giorno libero perché dobbiamo tappare i buchi.”
“Certo!” rispondo di nuovo io.
Credo che avrebbe anche potuto chiedermi di venire alla 5.00 lunedì mattina ed io avrei accettato. Metto giù la cornetta ed inizio il giro di telefonate per condividere la mia gioia. Metto su Facebook che mi hanno richiamata anche quest’anno e non tardano ad arrivare felici commenti da amici, studenti ed ex-studenti.
Aspetto con ansia il mio primo giorno di scuola. Tiro fuori i libri di testo dalla mia biblioteca, li sfoglio, e la mia fantasia galoppa verso futuri progetti scolastici, lezioni classiche abbinate ad alternative per appassionare i ragazzi. Penso a cosa potrei fare di nuovo quest’anno, alle imperfezioni dell’anno scorso e mi riprometto che quest’anno lavorerò ancora meglio. Tre giorni passano veloci e la mattina mi sveglio presto perché mi aspettano 50 km di macchina per arrivare a scuola. Sono felice. Non mi importa della strada. Molti amici e colleghi si stupiscono del viaggio che faccio, ma non mi pesa. Ho fatto molti lavori prima di fare l’insegnante ma non ne ho mai trovato uno così creativo e stimolante. Fare l’insegnante tecnico pratico è fantastico. Fai gruppo con i colleghi, costruisci progetti insieme e crei qualcosa di unico in laboratorio e in aula con i ragazzi. Certo, le difficoltà non mancano, a scuola c’è molta burocrazia, non tutti i colleghi vogliono lavorare a pari dell’ITP, ma ci sono sempre gli studenti che ti danno soddisfazione!
Sono le 6.30, avvio la macchina e vado verso l’autostrada. Il programma che ascolto di solito in radio è già in onda e mi ricorda l’anno prima. “Sono già passati tre mesi? Incredibile”penso. Il cielo è nero è comincia una pioggia infernale che mi accompagna per quasi tutta la strada. “Chissà chi vedrò per primo questa mattina”. Immagino di assaporare il cappuccino con cioccolato alla macchinetta con qualche collega simpatico. E’ il primo giorno di scuola, il più rilassante dell’anno.
Arrivo verso le 7.45 e solo 4 macchine sono nel parcheggio. “Mmm un po’ troppo deserto”.
Entro e il bidello, anzi collaboratore scolastico con accento napoletano, mi accoglie:”Uè Proffe! Ho letto su Facebook che siete ancora qui!”
Saluto tutti i collaboratori, ma la scuola inizia alle 9.00 e non si vede un’anima… c’è un silenzio di tomba. Sento solo lo scalpitio delle mie scarpe sul linoleum. E’ ancora un po’ buio. Mi dirigo dove c’è più luce verso la sala professori e cerco il cassetto che a detta della mia insegnante teorica, mi ha lasciato in eredità dopo aver chiesto l’assegnazione provvisoria in un’altra scuola. Effettivamente è proprio un bel cassetto. Altezza uomo e serratura. Un cassetto “di ruolo” direi. La mia ex-teorica aveva già pensato di staccare la targhetta con il mio nome da quello vecchio, alto, senza serratura e di attaccarlo in malo modo a quello nuovo. La sala professori è deserta. Mi prendo la libertà di preparare una bellissima targhetta nuova per il mio cassetto nuovo. Alzo gli occhi e vedo che il mio brutto e vecchio cassetto è già stato occupato da un collega nuovo. I miei occhi scorrono veloci sulla cassettiera e vedo molti nuovi nomi.
Vado a fare un giro. Passo davanti le vetrate e vedo degli studenti che sventolano la mano libera dall’ombrello per salutarmi. Ricambio e vado in segreteria. “Magari firmo il contratto prima di iniziare” penso.
Dopo 20 minuti mi comunicano che firmerò il contratto nei prossimi giorni e di controllare bene l’orario provvisorio. Torno in sala professori e mi aspetto di trovare qualche famoso collega simpatico con cui condividere 2 chiacchiere e un caffè. Entro e… ci sono tutte facce nuove… di solito quando vedo un collega nuovo mi presento, ma non so da dove cominciare sono troppi.
Sconsolata e sospettosa che la situazione precari possa essere peggio di quello che mi aspettassi, vado alla ricerca di un collega conosciuto su cui riversare le mie ansie e le mie paure. Un confessore insomma. Trovo la persona giusta, o quasi. Andrea, ha l’età mia madre, è uno degli insegnanti storici dell’istituto, uno dei pochi contro la riforma Gelmini e terribilmente simpatico. Il viaggio di istruzione a Londra l’anno scorso è stato molto divertente, e la sua serietà e capacità ci ha permesso di trascorrere cinque giorni davvero indimenticabili.
E’ sempre molto sorridente ed è un compagno perfetto per un caffè e una chiacchierata. Questa volta però lo vedo strano e non sorridente. Certo, è preso perché si stà occupando degli orari, ma insiste per offrirmi il solito caffè alla macchinetta.
Io non posso fare a meno di confessarmi ed esternalizzare a cascata le mie paure di itp precaria senza abilitazione. “La tua è una materia particolare” dice. “Sei fortunata ad essere qui già da oggi. Dall’anno prossimo però.. la situazione generale sarà anche peggio”.
Lo so. Mi rendo conto di essere fortunata, ma il mio pensiero non può fare a meno di andare a quei giovani colleghi di prima e terza fascia che non ci sono più da quest’anno. Lui è di ruolo, ma per la prima volta dovrà andare in due scuole. Non ci vorrebbe andare, ma non può fare altro. Magari, penso io, quelle tre ore in più che deve fare Andrea nell’altra scuola sono state tolte ad un collega precario che quest’anno sarà senza lavoro.
Lo chiamano. Mi saluta e scappa.
Suona la campana e un’orda di studenti piomba a scuola come se piovesse cioccolato dai soffitti. Guardo l’aula magna; c’è acqua per terra. Deve essere un’infiltrazione. Mi salutano in tanti, anche di altre sezioni. La scuola è piccola e ci conosciamo tutti. Almeno gli studenti sono rimasti più o meno quelli dell’anno scorso.
Incrocio il collega di ruolo che ha finto una malattia per non venire a fare gli esami dei debiti scolastici perché ancora in vacanza al suo paese. Le mie colleghe che avevano prenotato un viaggio e che hanno dovuto disdire grazie alla sua assenza lo guardano da lontano con cattiveria. D’altra parte, lui aveva avvisato tutti che si sarebbe messo in malattia.
Le ragazze mi chiedono di Veronica. “Purtroppo la collega quest’anno non sarà qui e non lavorerà a causa del ridimensionamento delle cattedre. Avrete un altro professore”.
“Ancora?! Ma prof. E’ già il terzo in due anni! Ma la prof. dell’anno scorso era così brava! Perché! Non capisco… almeno ha un altro lavoro?”
I ragazzi sono così cari e ingenui. Da una parte vorrei svegliarli e farli sbattere contro la dura realtà, ma dall’altra sono ancora anime delicate, convinti di sapere cosa c’è la fuori. Noi insegnanti siamo qui per questo. Per guidarli in questo cammino verso la vita reale, il lavoro, la vita di tutti i giorni. Io ci provo, ma non è sempre facile. Quando l’anno scorso gli ho fatto vedere il film di Paolo Virzì “Tutta la vita davanti” loro inizialmente l’hanno valutato come un film che non rispecchia la realtà. Purtroppo io in parte, la vita della protagonista Marta l’ho vissuta e non l’ho nascosto ai miei studenti. L’insegnante è un essere umano in carne, non è perfetto e non è nemmeno un numero. Forse, se il ministro cominciasse a considerare l’umanità dei ragazzi, e degli insegnanti, si renderebbe conto che un essere umano soddisfatto e motivato dà tutto se stesso in quel che fa. Io non chiedo più soldi, chiedo solo di poter fare il lavoro che mi piace e di contribuire alla crescita di esseri umani. E credo proprio di non essere l’unica.
Chiara ha un viso giovane, uno dei pochi questa mattina. E’ nuova. La sento lamentarsi con il bidello che non ci sono più cassetti liberi e che alcuni colleghi ne hanno addirittura due. Mi presento. “Ciao, io sono Sabrina, piacere. Vieni con me forse ti trovo un cassetto. Purtroppo in questa scuola per i cassetti vige il “nonnismo”.
Arriviamo in sala professori. In basso a destra, altezza scarpa, vedo il cassetto di Bianca. Sono sicura che quest’anno non è stata nominata non sono arrivati alla terza fascia, dicono che è già arrivato quello “nuovo”. Con il magone strappo la targhetta di Bianca.
“Chiara puoi usare questo, è libero”.