precari,  scuola

Rita Coppola, precaria disperata scrive al Presidente Napolitano

Marano di Napoli

Alla cortese attenzione del

Presidente della Repubblica Italiana

Giorgio Napolitano

Piazza del Quirinale, 1

00187 – Roma

Illustrissimo Signor Presidente,

Mi permetto di chiederLe di dedicarmi un po’ del suo prezioso tempo per raccontarLe la mia storia, in quanto fiduciosa di trovare ascolto presso di Lei, che ha sempre scelto di schierarsi dalla parte dei deboli in nome dei valori di equità e di giustizia sociale, promossi e garantiti dalla nostra Costituzione repubblicana.

Mi chiamo Rita Coppola ed ho quasi cinquant’anni. Sono nata nella città che spesso ci onora di visitare: Napoli. I miei genitori, operaio mio padre e orlatrice di scarpe in casa mia madre, sono riusciti a crescere quattro figli con enormi difficoltà, e per me, come per le mie due sorelle e mio fratello, la vita non è mai stata facile. Ho cominciato a lavorare prestissimo per pagarmi gli studi e, grazie anche a qualche borsa di studio, sono riuscita a conseguire il diploma di perito chimico con risultati più che soddisfacenti. La passione maturata negli anni per gli studi umanistici mi spinse ad iscrivermi alla Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università di Napoli, ma, dopo alcuni esami superati brillantemente, i ciclici “problemi strutturali” mi costrinsero ad abbandonare definitivamente gli studi per aiutare la mia famiglia, accettando di lavorare come commessa a tempo pieno presso il G.F.T. (negozi Marus). La “scelta obbligata” non si rivelerà tra le più fortunate, dal momento che dopo otto anni di lavoro (durante i quali ero stata promossa capo-reparto e, nel corso della “vertenza finale”, scelta dai miei colleghi come rappresentante sindacale), la decisione del gruppo di chiudere i negozi in tutt’Italia mi ridusse a 31 anni praticamente fuori dal mercato del lavoro “ufficiale” e senza laurea. Più tardi conobbi Silvio ed insieme decidemmo di seguire le orme di tanti nostri conterranei: dopo il matrimonio ci trasferimmo in Lombardia per lavorare, mio marito come insegnante di educazione fisica ed io come insegnante tecnico-pratico di laboratorio di chimica. Siamo stati a Seregno (MI) dall’ ’88 al ’96 e nel ’90 nacque nostra figlia Fiorenza. Nel frattempo mio marito si specializzò come insegnante di sostegno, riuscendo in questo modo (e soltanto nel ’94!) a porre fine a quel precariato perpetuo a cui ci stavamo tragicamente abituando, mentre io continuai ad insegnare, saltando di supplenza in supplenza, fino al 1994. Qui è cominciata la mia Odissea scolastica: per poter lavorare e maturare così il punteggio necessario per entrare in ruolo era necessaria l’abilitazione all’insegnamento, ma la legge voluta dall’allora Ministro dell’Istruzione on. Berlinguer prevedeva che tale abilitazione potesse conseguirsi solo se l’insegnante avesse lavorato per 360 giorni di lezione, di cui, sulla base di chissà quale arcano criterio, almeno 180 prima del ’94 e 180 dopo. La mia “sfortuna”, a questo punto della storia, era (ed è…) di aver largamente superato il numero totale di giorni richiesti dalla normativa, ma tutti prima del 1994, tanto da essere esclusa dai corsi abilitanti. Certo, avrei potuto far ricorso… ma anche questa volta le “condizioni strutturali” non me lo consentivano. Nonostante tutto ciò provai comunque ad andare avanti, ma senza abilitazione le supplenze diventarono sempre più rare. Nel ’96 decidemmo di tornare a Napoli e nel ’99 la mia domanda di partecipazione ai corsi abilitanti questa volta venne respinta perché bisognava aver insegnato sempre per almeno 360 giorni, ma tutti dopo il ’94.

Oggi mi ritrovo con l’ennesima comunicazione dell’ufficio scolastico regionale di Napoli nella quale mi viene comunicato che, per frequentare i corsi abilitanti (a pagamento), i famosi 360 giorni di servizio devono esser maturati dal 1999 al 2004. Qualche mese fa sono stata chiamata per una supplenza di 18 giorni in una scuola di Scampia e mi è sembrato di toccare il cielo con un dito, ma la felicità è durata poco… Ho tentato tanti altri lavori, ma nella mia città è notoriamente difficile trovare un lavoro ed alla mia età praticamente impossibile, anche se non Le nascondo che l’idea di dilapidare l’esperienza professionale maturata nella scuola sarebbe comunque motivo di ulteriore grande sconforto morale.

Questa è la mia storia e mi perdoni ancora di averLa trattenuta, ma Lei è la mia unica speranza di fermare questa perversa spirale normativa che di fatto sta sancendo l’ineguaglianza dei cittadini di fronte alla legge.Con infinita riconoscenza

RITA COPPOLA