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Laicità dello Stato

La storia è la storia, la famiglia è la famiglia. E la Costituzione è la Costituzione. Anche se dicono il contrario per escludere la dimensione religiosa dalla vita pubblica, impedendo ai vescovi di perseguire nelle forme dovute l’obiettivo di arrivare a una legislazione piuttosto che ad un’altra. Ripercorriamo la storia. L’art 7 della Costituzione afferma che “Lo stato e la chiesa cattolica sono, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani”. E’ doveroso ricordare che già solo questo articolo in realtà documenta la grande influenza che ebbe il magistero cattolico sui costituenti, testimoniata dalla singolare analogia dell’articolo con quanto affermato nell’enciclica di Leone XIII “Immortale Dei”e dai ripetuti riferimenti che i membri dell’assemblea fecero alla suddetta enciclica quale fonte ispiratrice per l’articolo. Inoltre la scelta di non logorare i rapporti con la chiesa fu testimoniata dalla preoccupazione di non usare vocaboli che evocassero ostilità nei suoi confronti, come poteva accadere utilizzando il termine laicità ( il vocabolo è assente nell’articolo). La nozione di laicità venne poi chiarita dalla Corte Costituzionale che con la sentenza dell’ 89 precisò che la laicità non implica indifferenza dello Stato dinanzi alla religione, essa cioè “risponde non a postulati ideologizzati ed astratti di estraneità, ostilità o confessione dello Stato-persona o dei suoi gruppi dirigenti, rispetto alla religione o ad un particolare credo, ma si pone a servizio di concrete istanze della coscienza civile e religiosa dei cittadini”. La Consulta infatti riconobbe che “Il genus (valore della cultura religiosa) e la species (principi del cattolicesimo nel patrimonio storico del popolo italiano) concorrono a descrivere l’attitudine laica dello stato-comunità”. Un punto di vista ragionevole, liberale e laico. A meno che non si voglia considerare il riconoscimento vaticano dell’art 7 come l’accettazione di un ruolo di minorità, che impedirebbe ai vescovi, e solo a loro e non si capisce perchè, di godere dei diritti di libertà di espressione, associazione e organizzazione, garantiti a tutti gli italiani. Per quanto riguarda poi il Concordato lateranense, esso non contiene alcun limite alla libera espressione dell’episcopato su questioni morali che hanno attinenza con l’attualità politica, anzi può essere utile ricordare il seguente articolo: “nell’accedere al presente regolamento della materia matrimoniale la Santa Sede sente l’esigenza di riaffermare il valore immutato della dottrina cattolica sul matrimonio e la sollecitudine della chiesa per la dignità e i valori della famiglia, fondamento della società”. I laici dovrebbero riflettere sul fatto che proprio questa frase, che è l’unica di carattere unilaterale, sia stata introdotta nel testo, assumendo per estensione carattere costituzionale. La storia è la storia.

Forse queste affermazioni risultano un pò difficili da digerire a quanti nella loro ansia acritica ritengono che i vescovi italiani debbano astenersi dal dichiarare e battagliare, ma tant’è. Troppo presi dal loro slancio anticlericale, al punto di diventare così clericali ma così clericali da arrogarsi loro il diritto di definire la laicità di uno stato.

Liborio Butera: